venerdì 28 settembre 2012

Edmond Hamilton e l'importanza della SF classica


Ogni tanto, girovagando sulla rete, mi imbatto spesso in discussioni su quanto la letteratura
di SF classica sia più o meno attuale o se valga la pena "perdere" preziose ore nella lettura di opere pluridecennali a discapito di materiale contemporaneo.
A tale proposito vorrei recensire  "Il lupo dei cieli" (Urania n.481 del 14/02/1968) del grande Edmond  Hamilton.
Uno splendido esempio di classica space opera avventurosa nonché primo romanzo di una trilogia.
Nella visione di una galassia popolata da varie razze umanoidi, i Lupi dei cieli non sono altro che pirati. Uno di questi, Morgan Chane, è braccato dai suoi simili e non ha altra scelta che entrare a far parte di un gruppo di mercenari formati solamente da umani terrestri.
Da qui cominciano una serie di vicissitudini che lo porteranno ed un epilogo affascinante.
Si rimane deliziati da come l'intreccio, pur rimanendo sempre di una certa semplicità, sappia entusiasmare sia per le tematiche trattate che per il ritmo narrativo serrato.
Difficile, per un appassionato di fantascienza, non innamorarsi di Edmond Hamilton, della sua poesia e del suo personalissimo concetto di infinito.
E quindi? Morale della favola?
A volte per cifre ridicole ci si porta a casa dei capolavori assoluti, molto più vecchi di noi di diverse decine d'anni.
Consiglio? Non badate mai all'anno di pubblicazione. Certe opere sono senza tempo.

CURIOSITA' ED APPROFONDIMENTO

Dei tre romanzi che compongono la trilogia dei Lupi dei Cieli, Urania ha pubblicato
solamente il primo (titolo originale:The Weapon from Beyond del 1967) senza mai più
ristamparlo.
Per chi fosse interessato anche agli altri romanzi, sia la casa editrice Fanucci nel 1989 che
la Editrice Nord nel 1999 pubblicarono in un unico volume l'intero ciclo dando al primo
romanzo il titolo "Il fuggiasco della galassia".

lunedì 24 settembre 2012

Ian Watson - Gli dei invisibili di Marte


Dopo una pausa piuttosto lunga, torno finalmente a scrivere sul mio blog e lo faccio con la recensione di un romanzo di Ian Watson, pubblicato su Urania n.1581ed intitolato "Gli dei invisibili di Marte.
Il Romanzo, datato 1977 e rimasto finora inedito in Italia, è stato scritto in piena guerra  fredda.
L'influenza dell'atmosfera diplomatica di quegli anni c'è tutta mentre al centro dell'attenzione viene posta la corsa alla terraformazione da parte degli U.S.A. e della Russia, rispettivamente di Marte e Venere. 
La narrazione si muove su due binari paralleli quasi indipendenti : la missione americana della "Frontiersman", in viaggio verso Marte e la quotidianità di un villaggio di  contadini Boliviani, sconvolta dalla caduta di una sonda russa proveniente sempre dal pianeta rosso e con a bordo campioni di terreno infetto da un apparente "virus". 
Per quanto i volutamente scarni accenni alla trama possano far sperare in un'opera interessante, "Gli dei invisibili di Marte" lascia con l'amaro in bocca, risultando un romanzo con fin troppa carne al fuoco cotta male.
La narrazione, apparentemente ordinata, risulta alla lunga pesante, superficiale ed a tratti imbarazzante. 
I temi trattati sono numerosi e troppo complessi per coesistere in un romanzo di poco più di duecento pagine. Il viaggio spaziale viene analizzato, si fa per dire, in tutte le sue sfaccettature, da quella 
politica a quella sociale ed economica trovando spazio persino per descrivere la vita a bordo della Frontiersman e l'interazione psicologica tra i membri dell'equipaggio.
Compromettendo l'equilibrio già precario dell'opera, lo scrittore sembra allungare il brodo con una parte (anche consistente) dedicata alla ipotetica e ridicola rinascita, per mezzo del "virus" marziano, della perduta civiltà Inca condendo il tutto con lunghe e soporifere cavalcate tra l'onirico e lo spionaggio internazionale.
Un'occasione persa per questo romanzo che tuttavia nel suo piccolo riesce, a distanza di qualche decennio dalla sua prima pubblicazione, ad essere attualissimo fornendo uno spaccato abbastanza efficace dell'atmosfera diplomatica di fine anni 70.
Tuttavia anche un'opera mal riuscita può a volte donarci qualcosa.
Ian Watson sembra tralasciare, o quanto meno approfondire poco, il lato romantico legato all'esplorazione spaziale che ormai sembra essere rimasto riservato a noi appassionati di fantascienza.
I progressi della scienza e dell'astronomia, la situazione politica ed economica in cui riversa il nostro pianeta ci costringono a restare con i piedi per terra in tutti i sensi.
Per noi appassionati di fantascienza il giorno i cui vedremo l'uomo impegnato in una "vera" missione spaziale sembra lontano ma nel frattempo qualche lacrimuccia nel leggere le vicissitudini della Frontiersman di Watson io l'ho fatta.