venerdì 25 ottobre 2013

Orfani n.1 - Piccoli spaventati guerrieri

Soggetto e sceneggiatura : Roberto Recchioni
Disegni : Emiliano Mammuccari
Copertina : Massimo Carnevale


Per primo arrivò il lampo che bruciò i nostri occhi.
Poi seguì il tuono che fece esplodere i nostri timpani.
Ciechi e sordi... bruciammo.
Un sole si accese.
La fine del mondo.
O qualcosa del genere.

È così che si apre il primo numero di “Orfani”, la nuova serie targata Sergio Bonelli Editore e ideata da Roberto Recchioni ed Emiliano Mammuccari.
Una serie di fantascienza prettamente bellica, che qualcuno ha definito alla “Heinlein” (come se bastasse una guerra ambientata nel futuro per scomodare ogni volta il nome di uno scrittore in realtà molto più profondo e complesso), con molta azione e sviluppata su due diversi piani temporali quali il passato e il presente.
Siamo in un mondo post apocalittico parzialmente distrutto da un raggio di forza proveniente da un'ostile pianeta alieno.
Come reazione a questo attacco l'umanità decide di addestrare una squadra di ragazzini, rimasti appunto “Orfani”, per ritrovare ed eliminare l'arma distruttrice.
Agli occhi degli amanti della fantascienza tali premesse potrebbe apparire banali ma in realtà, grazie all'ottimo lavoro di Recchioni, queste eventuali spiacevoli sensazioni riescono a trasformarsi in interesse.
Con questo primo numero, piuttosto parsimonioso, emerge una certa potenzialità a garanzia di notevoli evoluzioni future dettate da una continuity che appare già da subito piuttosto stretta.
Si legge velocemente questo “Orfani” grazie anche a una sceneggiatura agile e supportata da dialoghi molto asciutti.
I disegni, nati per essere colorati, sono una gioia per gli occhi. Le tavole riescono a essere spettacolari e d'impatto ma sempre estremamente espressive e rispettose del loro ruolo fondamentale di raccontare una storia.

“Orfani” è sicuramente un fumetto ambizioso e, secondo quanto affermato dagli addetti ai lavori, fondamentale per il futuro della letteratura disegnata di casa nostra.
Ora, lungi da me dal voler scrivere il solito post dove analizzare la situazione editoriale e artistica nella quale versa il nostro caro media; non ho né la voglia né l'autorità né le capacità di farlo.
Quello che più mi preme è invece di cercare di capire nel mio piccolo se, dopo tanto discutere, il team artistico capitanato da Recchioni e Mammucchari sia riuscito o meno nell'intento di creare un fumetto innovativo in barba alla radicata tradizione bonelliana, fatta di rigorosi paletti (anche di natura morale) da rispettare.
Insomma, detto in parole povere, si è riusciti ad ottenere la classica e ambita botte piena con moglie ubriaca annessa?
Una domanda lecita, fondamentale, delicata, complessa ma, ahimè, ancora troppo prematura.
Quello che emerge sicuramente da questo primo numero, oltre a quanto già precedentemente esposto, è una certa freschezza e voglia di qualcosa di nuovo pur attingendo da veri e propri abusati cliché letterari, cinematografici e fumettistici.
Eppure, una volta arrivati alla fine dell'albo, si ha la netta impressione di aver letto qualcosa di dannatamente diverso merito anche dell'introduzione in contemporanea, come mai si era visto prima, di tante piccole e grandi novità.
Mi riferisco al colore, usato comunque già da qualche tempo in occasioni non solo commemorative (vedi testate come Dylan Dog Color FestColor TexColor Zagor), per arrivare all'impostazione più libera, spettacolare e flessibile delle tavole, un po' come accade anche su altre collane come "Nathan Never" (a dire la verità Stefano Casini, già vent'anni fa, faceva cose più estreme).
Poi, ancora, l'idea delle stagioni come accade per le serie tv o quella di avere un gruppo “aperto” di personaggi come protagonisti, che ricorda un'altra compianta serie cult di fantascienza intitolata "Hammer" e il cui nome addirittura era legato a quello di un'astronave.
In conclusione “Orfani” è un prodotto diverso, di qualità, ben studiato, anche un po' furbo se vogliamo ma, attenzione, sicuramente non così rivoluzionario come ci si aspettava.
Il fumetto Italiano, in periodi di crisi come questo, merita di evolversi e di espandersi andando a conquistare anche altre fette perdute di pubblico (sopratutto giovanile).
“Orfani” sembra avere tutte le carte in regola per fare questo ma anche la volontà e la capacità di rispettare i tratti unici e distintivi che hanno permesso al fumetto made in Italy di avere una propria identità/dignità imponendosi a livello mondiale come una vera e propria scuola.
In altre parole, per il momento, la botta sembra piena e la moglie ubriaca.
Poi si vedrà.

Orfani
miniserie mensile - Sergio Bonelli Editore
98 pp a colori, brossura
€ 4,50

Martin Mystère n.329 - La minaccia di Allagalla

Soggetto e sceneggiatura : Luigi Mignacco
Disegni : Enrico Bagnoli e Maurizio Gradin
Copertina : Giancarlo Alessandrini



Al giorno d'oggi chiunque può prendere in mano una tastiera e scrivere quello che gli pare, raggiungendo con facilità anche a un discreto numero di utenti.
Lo vediamo tutti i giorni girovagando su una rete ormai strapiena di  recensioni di ogni tipo, scritte a volte anche con tono incazzoso, sempre pronte a stroncare senza pietà questa o quell'opera, costata magari all'autore anni di sacrificio.
Io, da unico ideatore e curatore di questo piccolo e umile spazio virtuale, ritengo che scrivere una recensione sia una cosa che va fatta senza mai trascurare il rispetto per il lavoro altrui, indipendentemente da tutto.
Certo, esprimere un parere anche negativo è lecito e fa parte del gioco ma bisognerebbe sforzarsi di farlo tenendo sempre sott'occhio elementi come l'educazione, oltre che la costruttività e l'obiettività di quanto si sta affermando.
Tutto questo preambolo per arrivare a parlare di Luigi Mignacco,sceneggiatore dall'indubbia professionalità, versatilità e produttività, che per l'ennesima volta, però, non è riuscito a convincermi.
Ovviamente, come da oggetto, ci si riferisce al suo Martin Mystère n.329 di questo bimestre, intitolato “La minaccia di Allagalla”.

La storia nasce come tributo a un'opera italiana a fumetti degli anni quaranta, scritta da Luciano Pedrocchi e disegnata dallo stesso Enrico Bagnoli, purtroppo scomparso poco più di un anno fa.
Mignacco parte con una sequenza ambientata nello Sri Lanka dove una gruppo di esploratori si imbatte in un laboratorio sotterraneo contenente strane macchine e pezzi di un enorme robot.
Ed è qui che entra subito in scena il cattivo di turno che si scoprirà avere un piano per ricattare l'intera città di New York, possedendo i mezzi necessari a provocare artificialmente un terremoto senza precedenti.
E in una girandola di mysteri, minacce, visioni collettive, robot distruttivi, sedute spiritiche e chi più ne ha più ne metta il “BVZM” si ritroverà coinvolto, suo malgrado, in un caso all'apparenza irrisolvibile ma i cui tasselli sembrano andare a loro posto in piena autonomia e senza alcuna difficoltà.
Ed ecco forse il grande difetto della storia dove gli eventi si susseguono senza una vera e propria spiegazione,in attesa di un finale scontato, mentre nel frattempo la sceneggiatura non fa che riempirsi di buchi incolmabili, proponendo una carrellata di personaggi stereotipati, privi di personalità e creati ad hoc per questa o quella esigenza.
Il fascino ben reso e senza tempo dei robottoni oltre a una scorrevolezza nella lettura non vanno a incidere comunque più di tanto sul giudizio finale, ahimè purtroppo negativo.
Un discorso a parte meritano i disegni del compianto Enrico Bagnoli supportato da Maurizio Gradin che appaiono spettacolari, dettagliati e di qualità; bellissime ed evocative le sequenze di distruzione della metropoli statunitense.
Un unico appunto lo farei solamente a certe rielaborazioni grafiche fatte al computer che, anche se di impatto, si potevano evitare lasciando alle tavole un aspetto più naturale e consono a un fumetto di questo tipo.
Bellissima e affascinante, come sempre, la copertina di Giancarlo Alessandrini.

In un periodo in cui si parla tanto di “Orfani” e di una svolta del fumetto italiano, verso lidi di più ampio respiro e originalità, è un peccato arrivare in edicola con un Martin Mystère (testata che si è sempre distinta per possederle tutte queste qualità) così deboluccio.


Martin Mystère
serie bimestrale - Sergio Bonelli Editore
160 pp, b/n, brossura
€ 5,00

Dragonero n.5 - Il raduno degli scout

Soggetto e sceneggiatura : Stefano Vietti
Disegni : Gianluca Pagliarani
Copertina : Giuseppe Matteoni


Devo dirlo : il fantasy non è tra i miei generi fumettistici/letterari/cinematografici preferiti.
Se da una parte ne sono sempre stato un po' attratto, dall'altra non posso nascondere di averlo trovato alla lunga sempre un po'...noiosetto, pur non disprezzando scrittori come George R. Martin.
Il lancio di “Dragonero”, quindi, non mi fece sobbalzare sulla sedia nonostante apprezzassi i due ideatori/sceneggiatori Stefano Vietti e Luca Enoch.
Tuttavia, si sa : alla Bonelli fanno le cose per bene e così, pur non amando il genere, decisi di provare a seguire la serie con quella tipica curiosità che accompagna qualsiasi cosa esca da “Via Buonarroti”.
Ed eccomi qui, dopo qualche mese, assolutamente non pentito della mia decisione e anzi pronto a recensire l'ultimo numero presente ancora in edicola.
Dopo una prima saga, durata ben quattro albi, ecco arrivare un episodio che definirei atipico, con uno Stefano Vietti deciso a rallentare bruscamente il ritmo narrativo a cui ci si era abituati dando sfogo a un urgente bisogno di fare il punto della situazione, lanciando nello stesso tempo un' infinità di accenni a future sotto trame.
La sinossi è semplicissima : Ian (Dragonero, il protagonista), Gmor e Sera (i due comprimari), durante un periodo di riposo dalla loro ultima missione, partono per il raduno annuale degli scout (veri e propri informatori dell'impero).
L'idea di un “meeting” annuale viene usato da Vietti come strumento per introdurre nuovi personaggi, aggiungere complessità al protagonista e per gettare sopratutto luce sul vero e proprio concetto di “scout”, fondamentale per l'economia della serie.
L'idea, molto originale, non fa che mettere in evidenza l'enorme lavoro di realizzazione di un universo narrativo immenso e talmente ben congegnato dal quale è veramente difficile non venirne catturati.
Interessante poi notare come l'autore riesca a divertirsi nel disseminare l'albo di indizi sui futuri sviluppi narrativi della serie senza dimenticarsi di aggiungere ulteriori tasselli alla psicologia del protagonista, che appare al lettore sempre più confuso e tormentato.
Purtroppo, però, la totale assenza di azione e sopratutto di un vero e proprio intreccio trasmettono una sgradevole sensazione di inconsistenza che dopo metà albo si trasforma in assoluta noia, spingendo il lettore quasi a esultare quando nell'ultima pagina viene annunciata una nuova vera missione per il protagonista e i suoi due “pards”.
In definitiva un vero peccato.
A supportare Vietti, in questa dunque non proprio ben riuscita prova, troviamo i disegni di un fantasmagorico Gianluca Pagliarani le cui tavole, dettagliate e dalla qualità costante, accompagnano il lettore per tutta la durata del tempo senza mai deludere.


Memorabile la copertina di Giuseppe Matteoni.

Dragonero
serie mensile - Sergio Bonelli Editore
98 pp, b/n, brossura
€ 3,30

Le Storie n.13 - Il moschettiere di ferro

Soggetto e sceneggiatura : Giovanni Gualdoni
Disegni : Giorgio Pontrelli
Copertina : Aldo Di Gennaro 



Ormai lo si può dire : la serie “Le Storie”, edita dalla Bonelli, è una splendida realtà.
Proporre mese dopo mese albi di qualità che sappiano essere innovativi e sperimentali, nel rispetto della cosiddetta “gabbia bonelliana”, non è facile.
Eppure, tra i volumi finora pubblicati, la qualità delle proposte è rimasta sempre di un certo livello e quest'ultimo numero tredici non fa eccezione.
Dopo l'ultimo eccellente Speciale di Dylan Dog (La bomba) torna in edicola Giovanni Gualdoni, con quello che i fumettisti d'oltreoceano definirebbero un “What If” (tradotto in “Cosa succederebbe se...).
Le vicende narrate in questo“Il moschettiere di Ferro” , infatti, si sviluppano nell'universo creato da Alexandre Dumas, per la sua trilogia de “I tre moschettieri”, stravolgendolo letteralmente.
Senza svelare molto della trama vorrei mettere in evidenza come le varianti introdotte a quanto narrato da Dumas siano notevoli tanto che, a elementi prevedibili di classica avventura, il buon Gualdoni ha saputo mescolare sapientemente anche della sana fantascienza e un pizzico di steampunk.
Ma si sa, un soggetto brillante senza il supporto di una buona sceneggiatura non va da nessuna parte ed è qui che arriviamo, a mio avviso, al punto forte di questo numero tredici : la scorrevolezza e il perfetto equilibrio di un intreccio semplice ma in continua e rapida evoluzione dove gli eventi, numerosi, si susseguono senza sosta.
I dialoghi, l'impostazione delle tavole, tutto sembra ben congegnato per svilupparsi all'interno del limite imposto dalla pubblicazione ma senza mai scadere nell'affrettato o nel superficiale.
Ottimo e fondamentale il supporto delle tavole del buon Giorgio Pontrelli, dal bianco e nero elegante e dinamico; bella la realizzazione grafica della maschera del moschettiere protagonista, ripresa poi anche nella splendida copertina di Aldo Di Gennaro.


In conclusione, una buona lettura dove ancora una volta emerge tutto il potenziale di una delle serie a fumetti tra le più interessanti presenti al momento nelle nostre edicole.

Le Storie
serie mensile - Sergio Bonelli Editore
110 pp, b/n, brossura
€ 3,50